LA RAPPRESENTAZIONE DELL’ASSURDO E LA GRAMMATICA DELL’ATTESA:

IL MONDO SCENICO E TRASVERSALE DI CRISTIAN SORGENTE

di Aldo Carrozza

Il registro cangiante e la defigurazione compositiva

Un torso femminile di spalle, alla cui vita è visibile il fiocco che lega le fettucce di un grembiule. Il torso è rivolto verso un grande pannello scabro, appoggiato ad una parete, coperto di  colore bianco, il quale a stento riesce a nascondere le tracce di un mondo figurativo sottostante: emergono dal fondo, infatti, un occhio e un fiore. E quattro  “spingule   francesi” lottano con la forza di gravità danzando tra il torso e il pannello. È un quadro di Mimmo Paladino che riecheggia costruzioni metafisiche dechirichiane? No! È un quadro di Cristian Sorgente, dal titolo Spingule francesi.

Una sedia tracciata con ruvidezza, bianco su nero, con schienale basso e lunghi piedi, in coppia con un bastone bianco, dal tratto incerto: entrambi sospesi una a fianco dell’altro in un’atmosfera cupa, dove veleggiano in sospensione anche un cappello in filigrana e alcune schegge indecifrabili. È una danza nel vuoto e per il vuoto. È un quadro di Anselm Kiefer, che delinea l’epifania di un timore? No! È un quadro di Cristian Sorgente, intitolato Infortunio.

Un corpo femminile acefalo, in piedi, che divide in due parti il quadro: quella di destra, in cui prevale il nero, nel quale emergono riflessi di forme lineari e una caraffa tratteggiata solo nei contorni;  e quella di sinistra in cui la grande ala scura del corpo si impone su uno sfondo aperto che lascia intravedere in basso tre lance e uno scudo: un armamentario guerriero di mitologica memoria. È un quadro di Pietro Lista con assonanze daliniane? No! È un quadro di Cristian Sorgente, intitolato Amazzone a metà, per rendere eloquente la condizione della donna contemporanea.

Sfondo nero e soggetto bianco, luminoso, a sfiammare sui bordi: una sedia con un ospite improprio: è un essere o una cosa? È un feto o un alieno? È la distorsione interpretativa di un corpo seduto, oppure l’allucinazione mal riposta di un ricordo spiacevole? Per la sua forza scenica, aberrante e distorsiva sembra un quadro di Francis Bacon. E invece è  un quadro di Cristian Sorgente, intitolato Allucinazione del mattino.

Cristian Sorgente, nonostante la sua giovane età, dipinge composizioni molto interessanti, sorprendentemente stranianti, scomode e accattivanti, dal registro sdrucciolevole e cangiante. Per questo, egli è un pittore che può avere ascendenze molteplici, in cui il suo “richiamo” ad altri artisti diventa non una citazione ma semplicemente una continuità creativa, la quale non può che generarsi sulla somma e sulla metabolizzazione organica dei linguaggi forti della storia dell’arte. Per questo, egli crea quadri che entrano a pieno titolo nella pittura eversiva contemporanea, fatta di figurazione derivata, con citazioni inclusive ed accelerazioni indecifrabili, che solo la migliore arte post-surrealista ed espressionista può accogliere. Sorgente dipinge prefigurando davanti a sé una scena che gli viene dalla decantazione del suo inconscio a mente aperta e cosciente: recupera oggetti con il suo occhio della mente e li mette in scena, senza un apparente filo conduttore. Costruisce una sorta di rappresentazione teatrale di cose, di fatti e di ricordi che gli appartengono, che attinge dalla storia dell’arte, dalla sua giovane vita e dalla voglia di interrogare il mondo sfuggente il quale, se non  bloccato, scivola inesorabilmente verso il nulla.

Sorgente utilizza un codice pittorico che si basa sulla de-figurazione: una scelta compositiva e creativa che, partendo da un registro figurativo, procede verso contaminazioni irrealistiche, che scarnificano la figura rendendola un lacerto: un frammento di se stessa, un ricordo nebuloso oppure un corpo isolato e ruvido che resta calato in una rappresentazione scenica, da ricomporre soltanto ad un livello superiore di lettura dell’opera.  Nei suoi quadri, perciò, gli elementi che egli mette in scena hanno una morfologia che ha sempre una base figurativa, la quale però  perde vigore trasformandosi in un team di forme pseudo-realistiche, visionarie, a volte quasi astratte, le quali diventano parti di una composizione di elementi trasversali che mettono in comunicazione il mondo dell’inconscio con quello cosciente, che tracciano percorsi impliciti tra ciò che si delinea come svelamento e ciò che è davanti ai nostri occhi.

 Per questa serie di aspetti, l’arte di Sorgente deve essere apprezzata necessariamente attraverso quattro diversi e successivi stadi di lettura: la rappresentazione dell’assurdo, la condivisione destinale della scena, la trasversalità dei rapporti, e la grammatica dell’attesa.

La rappresentazione dell’assurdo

Per un pittore, la rappresentazione è la modalità più immediata di significare. È il modo più semplice di passare dal particolare al generale. Dipingere una mela significa evocare il concetto di mela, significa rappresentare la mela in generale, non necessariamente quella mela in particolare. La rappresentazione pittorica, perciò, è come il concetto di connotazione in semiotica. A questo tipo di rappresentazione significante, però, si aggiunge la rappresentazione compositiva, quella della giustapposizione delle parti, quella che si fa scena e performance teatrale: è questa la rappresentazione come organizzazione di un “set”, di uno spazio ospitante, in cui l’artificialità della composizione è chiaramente un risultato voluto, che sottolinea l’intenzione dell’autore a proporre la messa in scena.

La rappresentazione compositiva, ad esempio, è tipica dei ritratti di Lucien Freud, i quali non hanno nulla di naturale perché costruiti per svelare, attraverso la forzatura della “posa”, l’artificialità delle convenzioni sociali. Questa rappresentazione è tipica anche, con molta evidenza, delle nature morte dei pittori fiamminghi del ‘600 i  quali, esagerando con la giustapposizione di fiori, frutta, conchiglie e cacciagione, hanno rappresentato più la rappresentazione delle cose, che le cose in sé.

Ecco: Sorgente, con il suo occhio della mente, mette insieme cose che vengono proposte come rappresentazione; non dipinge cose che rappresentano, ma dipinge la rappresentazione delle cose. Poi, a ben guardare, le sue cose messe in rappresentazione non hanno in comune assonanze particolari: anzi ne hanno ben poche. Qual è allora la conseguenza?  La conseguenza è che egli non può che proporre la rappresentazione dell’assurdo, di quel tipo di assurdo che segna lo scostamento tra alcune aspettative etiche o morali e i risultati dell’esperienza quotidiana.  E qual è allora il senso di tutto ciò? Il senso è quello di costruire, opera su opera, una denuncia su queste forme di assurdità della vita, che hanno più un valore intellettuale e speculativo, che una radice spirituale o cognitiva. Il richiamo intellettuale di Sorgente non può che andare alla poetica dell’assurdo di Albert Camus e il teatro dell’assurdo di Samuel Beckett, che hanno  fatto storia in tal senso: hanno posto in evidenza l’assurdità dell’esistenza, in cui prevale l’abbandono di un costrutto logico e finalistico. Allo stesso modo Cristian Sorgente accosta nelle sue composizioni oggetti e corpi senza un loro apparente costrutto: lo fa proprio per sottolineare come l’irrazionalità dell’inconscio, che egli fa emergere al livello dell’Io, possa  essere ben rappresentato proprio per disorientare la mente senziente e razionale. Al primo stadio di lettura di alcune sue opere come “Abbraccio”, “Allucinazione del mattino”, “A fondo”, “Il totem dell’accidia”, veniamo presi da un leggero sconforto cognitivo perché non cogliamo nelle cose in esse dipinte nessun legame, nessun disegno significante, nessuna facile comprensione. Subiamo la certificazione di una assurdità. Questo è ciò che vuole Sorgente: disturbare il fruitore con una ventata di non senso. Questo però è soltanto il primo stadio di lettura delle sue opere.

La condivisione destinale della scena

Il secondo stadio di lettura è costituito dalla valutazione e fruizione della “condizione scenica” in cui viene calata la rappresentazione delle cose. Rendersi conto che il “non senso” è inserito in un “set” compositivo, vuol dire che nell’opera, in fondo, vi è una volontà significante, ordinatrice: quella volontà creativa generata dalla “scelta” degli oggetti inseriti nel quadro, i quali, in un modo o nell’altro, anche senza connessione tematica reciproca, costruiscono una composizione che suggerisce la nascita di un “insieme”; di un insieme che diventa una scena: una scena che ospita elementi funzionali, anche contrastanti tra di loro. Perché funzionali? Perché è come se essi agissero in cooperazione antagonista, fatta di vicinanza e di condivisione forzata di un ambito comune. Questo ambito è la loro casa e ciò li rende artefici di una scena intesa come condivisione di un destino: il destino che Sorgente decide di aprire per loro.

La condivisione della scena diventa così la traccia di un destino da consumare, scrutandone gli esiti solo sulla base di potenziali movimenti, i quali possono essere solo intuiti o attesi. Gli oggetti e le forme di Sorgente, quindi, sono costretti a convivere, ma preannunciano esiti direzionali e relazionali inopinabili, pronti a sorprendere e a meravigliare. In questa potenziale meraviglia sta tutta la carica psicoanalitica e surrealista delle sue opere. Anzi in essa si può scorgere anche la caratteristica di quel destino che appartiene alla capacità operativa dell’ente, alla capacità dell’uomo di “farsi” in quanto artefice di se stesso, come insegna la filosofia di Martin Heidegger.

Le scene destinali di Sorgente, costituite da un insieme di oggetti e forme pseudo-realistiche,   sembrano costruire scenografie per uno spettacolo che è dato dalla scenografia stessa. Prendendole solo come combinazioni di forme, le scene di Sorgente possono anche essere accostate metodologicamente ai ghirigori interiori di Joan Mirò, con i suoi bidimensionali  e colorati morfismi molecolari: con la differenza però che il maestro spagnolo, con le sue combinazioni fantastiche, svela un mondo interiore utilizzando un alfabeto visivo omogeneo e coerente, mentre Sorgente rappresenta combinazioni di forme incoerenti e contrastanti, a sottolineare la complessità degli esiti tra l’inconscio e la vita, tra le aspettative e i risultati.

La trasversalità dei rapporti

Nel farsi destino, le forme di Sorgente aprono relazioni trasversali tra di loro, costrette a convivere e a condividere lo spazio pittorico del quadro. Le relazioni trasversali aprono ponti semantici che il fruitore può percorrere, anche scorgendo collegamenti impropri, che l’artista non aveva considerato nel dipingere il quadro.

Nel quadro Spingule francesi, per esempio, quale relazione trasversale può aprirsi tra le spingule, così grandi, e il pannello davanti al quale esse gongolano in sospensione? Nessuna. Oppure vi può essere una relazione se, per esempio, le spingule diventano uno strumento per agganciare la possibile lettura sul significato del pannello: due spingule aperte e due chiuse, infatti, possono suggerire che l’aggancio semantico del pannello/quadro è un’operazione a interpretazione plurima, e quindi sempre aperta; oppure è un’operazione che non ammette  troppe alternative, e quindi di facile e stringente interpretazione, tale da renderla chiusa. E poi che relazione c’è tra il torso e il resto delle cose inserite nel quadro? Nessuna. Oppure c’è un qualche elemento di correlazione? Il torso, per esempio, potrebbe essere l’inconscio, non facilmente riconoscibile (per questo è di spalle, ed è senza testa e senza braccia, ma al lavoro con il grembiule); e il pannello potrebbe essere l’Io, la parte cosciente, perché esso ha uno strato denso, bianco, assorbente, pronto a moralizzare le spinte dell’Es.

E ancora: che collegamento c’è tra la sottile corda laterale e la composizione centrale di forme indecifrabili  inserite nel quadro Incastro cognitivo? In apparenza nessuno. Tuttavia, si può ritenere che la corda sia un elemento della realtà, della vita senziente, che vuole legare a sé ciò che gli sfugge; mentre le forme centrali sono ciò che la mente può possedere dell’inconscio, ossia poco, mentre quest’ultimo scivola via di nuovo verso il basso, gocciolando a perdita costante, a formare una piccola cascata.

Ecco: le relazioni trasversali tra gli oggetti e le forme dei quadri di Sorgente sono relazioni difficili da cogliere,  le quali, se colte, collegano l’impossibile al possibile, il compiuto all’incompiuto, l’inconscio all’Io: sono relazioni a tenuta metastabile, pronte a cadere o a resistere. Esse però aiutano a comporre e a scomporre il senso di un assurdo che stenta a cedere il passo. Sono un invito che l’artista rivolge a se stesso e al fruitore per cogliere segnali semantici che salgono dal profondo.

La grammatica dell’attesa.

L’aspetto più interessante e sorprendente nei quadri di Sorgente è la sottile tensione che aleggia tra le cose che egli mette in scena. È una tensione che preannuncia movimenti e ricollocazioni dei rapporti reciproci tra le componenti inserite nel soggetto dipinto. Le cose sono sospese e ciò le rende dinamicamente instabili, pronte a muoversi, a seguire traiettorie inaspettate, come inaspettate sono alcune cose indecifrabili che egli dipinge, non appartenenti al registro della realtà fisica che conosciamo.

L’assurdo e la scena allora cedono il passo all’attesa. Quell’attesa che nasce per aspettare gli esiti di un assestamento, di un gesto che si preannuncia come “movente occulto” del quadro.  È un’attesa, dunque, che nasce dalla sensazione che possa compiersi qualcosa, suggerita da una condizione fruitiva dell’opera, i cui prodromi sono accennati nella configurazione degli oggetti e dei corpi dipinti in sospensione, inseriti nel quadro come ospiti fluttuanti. La scena pertanto non è data definitivamente: essa suggerisce un presagio di ristrutturazione. È come se essa dovesse ancora espirare per raggiungere la posizione di riposo. È  questo presagio della scena che desta interessa, al punto di ritenere che il quadro non può che completarsi con la fruizione concludente, che consiste proprio nell’immaginare compiuto il movimento potenziale suggerito dalle cose e dai corpi dipinti.

Dipingere soggetti che presentano una dinamica implicita, una leggera tensione interna, significa pertanto invitare il fruitore a guardare il quadro suggerendogli che ciò che sta guardando non è un assetto compositivo compiuto, perché in esso si cela un’azione che potrà compiersi, mutando i rapporti della configurazione.

Questa leggera tensione inserita nel soggetto dell’opera – che  preannuncia  un’azione imminente – è  presente in molte opere della storia dell’arte. Quella più famosa che preannuncia un’azione è il David di Michelangelo. Scrive Giulio Carlo Argan: “[…] la gamba obliqua è il principio del succedersi di concisi scatti di moto: la brusca flessione del polso, il sùbito volgersi della testa, il braccio piegato verso la spalla. Il movimento della figura non si espande nello spazio, si rinchiude negli atti contrapposti delle membra. […] l’artista ha concepito la figura dell’eroe nel momento della concentrazione della volontà in vista dell’azione da compiere. […] L’artista non rappresenta l’azione, ma il suo movente morale, la tensione interiore che precede lo scatto del gesto”.  E il gesto che egli preannuncia nella sua tensione è il tiro della pietra con la fionda per colpire Golia.

Anche nelle opere di Sorgente si respira un’aria di leggera tensione, di intuìta attesa  verso qualcosa che potrà accadere, verso un destino che potrà compiersi. In Spingole francesi qualcosa accadrà perché è proprio il torso di spalle che ce lo suggerisce, il quale guarda impaziente la danza delle spingule davanti al pannello; e quest’ultimo, come una spugna, sembra pronto ad assorbire e ad esprimere i segni dell’azione dialettica tra sé e le spingule.

Scalata all’obelisco suggerisce, con altrettanta determinazione, il movimento verso l’alto delle persone e dei “pensieri geometrici” dipinti nella parte bassa del quadro; è un movimento finalistico che però non dà certezza dell’esito. Ecco allora affacciarsi quella potenza della scena destinale che presuppone il “farsi” dell’ente heideggeriano.

 La caduta degli dei è un quadro dal titolo impegnativo; eppure nella sua semplicità iconografica  è efficace. Ha una vena di figurazione ellenistica (le teste mozzate come statue violate, hanno la silhouette di teste di sculture greche) che precipita verso un profano mondo fatto di vita reale (una sedia) e di piccoli sentimenti materializzati nelle icone semplicistiche dei cuori. È proprio questo mondo banale e terreno che riserva a noi tutti le cose vive della nostra vita: a nulla valgono le costruzioni teistiche per consolarci e per proteggerci dalla nostra piccolezza. Queste costruzioni fuorvianti sono cadute e stanno precipitando. Cosa ci resta da fare? Forse, potremmo affidarci umilmente alla ricerca dell’essere heideggeriano per costruire il nostro destino. Quali potrebbero essere allora i nuovi assetti visivi, suggeriti dalla scena in movimento del quadro? La fruizione è aperta e invitante: si ha la sensazione di vedere sempre più giù le teste che cadono; e ciò fa presagire che, al loro posto, arriverà la scienza con le sue risposte in progress (il pianeta che è inserito in alto a destra). La tensione dei movimenti potenziali  suggerisce la necessità di porci questa domanda: “La nostra vita può essere priva di aneliti trascendenti?”.

Nell’opera Sedia senza cavaliere, si attira l’attenzione sul soggetto che manca: e la sedia diventa solo un residuo. Quale  movimento implicito può cogliersi in quest’opera? Quale tensione c’è tra le cose dipinte? Qual è l’attesa suggerita dalla scena? Qui, il possibile movimento è suggerito dal pesce dipinto nel piccolo riquadro in basso. La direzionalità a spostarsi in avanti è implicito nella rappresentazione del pesce. È difficile vedere un pesce fermo. Perciò, si può immaginare che, da un momento all’altro, anche sulla sedia possa arrivare il cavaliere che manca, e dare senso ed esito così all’attesa. In tal modo, il quadro che rappresenta un’assenza, può diventare una traccia per fantasticare sui possibili soggetti che potrebbero abitarlo.

La capacità di Cristian Sorgente di costruire composizioni in cui vi è la sensazione di un compimento imminente, si basa su una sorta di grammatica dell’attesa. Questa è suggerita dalla lieve tensione, dal potenziale movimento, dalla direzionalità implicita delle cose dipinte, le quali, sia singolarmente, e sia in relazione tra loro – essendo sospese in una sorta di fondale scenografico – costruiscono  quadri in cui nasce la voglia di anticipare un esito, di attendere che a breve succeda qualcosa. Questa capacità di costruire per immagini una scena destinale, che ha una sua traiettoria in compimento, è una capacità che trova estrinsecazione plastica in una giustapposizione di corpi ed oggetti, che diventano regola significante, come una grammatica che cresce in una sintassi. È questa la “grammatica dell’attesa”. È una specie di manifesto esistenziale di Sorgente: l’attesa come capacità di “intravedere” ciò che si realizzerà a breve, per indirizzare la scena, per indirizzare il nostro destino. Il concetto di attesa in Sorgente, dunque, si intreccia con la capacità di intravedere e intraprendere, è un concetto costruttivo, di fare; non è un concetto in cui l’atteggiamento è  passivo, aspettando ciò che accadrà, per subirlo.

L’attesa ha davanti a sé un tempo breve, limitato, alla fine del quale l’evento si verifica. L’atteggiamento suggerito da Sorgente  consiste nel saper “agire e prevedere” in questo breve lasso di tempo: agire per condizionare l’esito dell’evento; prevedere per non subire l’evento. Ecco, questo atteggiamento costruttivo è molto importante: esso viene suggerito al fruitore dei suoi quadri, il quale, intravedendo il movimento potenziale delle sue composizioni sospese, mostra di accettare l’invito a riflettere e a vedere il presagio destinale della scena.

Questo atteggiamento attivo con cui si interpreta il tempo dell’attesa, si differenzia dal concetto di attesa espresso dal filosofo Umbertto Galimberti, secondo cui, invece, l’attesa è incarnata da un comportamento passivo, in cui si resta semplicemente ad aspettare gli eventi, subendoli. Nell’attesa non c’è durata, egli sostiene: non c’è organizzazione del tempo, perché il tempo è divorato dal futuro che risucchia il presente a cui toglie ogni significato. Soltanto  la speranza, sostiene Galimberti, riesce a restituire al presente il suo spessore temporale, perché la speranza, guardando più lontano e ampliando lo spazio del futuro, distoglie l’attesa dalla concentrazione sull’immediato e dilata l’orizzonte.

Nella grammatica visiva dell’attesa, estraibile dalle opere di Sorgente come una volontà di agire al pari di una perifrastica attiva, non si abbandona affatto il senso del presente soffocato dall’ansia dell’evento imminente, perché è nel presente della fruizione che scatta la previsione del cambiamento latente, che muove a svelare il movente occulto dell’opera. L’attesa che pervade il fruitore è una condizione con cui si assapora il piacere della riflessione indotta e della previsione intuìta. Tutto questo è presente. Tutto questo è il modo con cui costruire ed affinare gli strumenti per capire il futuro.

Nell’arte visiva contemporanea, la pittura deve faticare per trovare il suo spazio: la pittura è uno strumento troppo semplice per assumersi la finalità di essere la metafora epistemologica che, a parere di Umberto Eco, è l’unica, possibile funzione a cui deve assolvere l’arte contemporanea. È vero: la pittura è sì uno strumento semplice, ma resta pur sempre uno strumento efficace per comunicare senza alzare i toni, senza invadere spazi fisici e domìni di altre forme di comunicazione. La pittura ha ancora tutto il suo fascino e Cristian Sorgente ce ne dà una prova concreta.